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DI DROGA SI MUORE, MA GUAI A PARLARNE
di Filippo Torrigiani
Consulente Commissione Antimafia
Aumentano consumo e danni collaterali, le mafie si arricchiscono ma la politica non ne discute a sufficienza
Non è mai cosa facile scrivere di temi complessi, men che meno quando le questioni che si affrontano producono drammi come nel caso delle sostanze stupefacenti. Tuttavia, di consumo di droghe in Italia, come nel resto del mondo, si continua purtroppo a morire e come spesso accade per i drammi che riguardano disagio e disperazione, nella completa indifferenza.
Eppure, stando ai numeri di questo mercimonio di morte, il fenomeno si è tutt’altro che ridotto, anzi: le più recenti stime ci dicono che nell'ultimo anno abbiano fatto uso di droghe 17,4 milioni (16,9 %) di giovani adulti (15-34 anni); tra coloro che hanno segnalato di averne fatto uso, i maschi (21,6 %) sono il doppio delle femmine (12,1 %). Per quanto riguarda il contesto ‘europeo’ i dati raccolti chiariscono che per ciò che concerne l'uso di cocaina l'Italia, occupa il terzo posto in questa drammatica classifica con il 7% di individui adulti (15-64 anni) che, almeno una volta, hanno fatto uso di cocaina. Al primo posto si colloca la Spagna con 10,2% ed al secondo posto il Regno Unito con il 7,4%, mentre In fondo all'uso di cocaina si colloca la Romania con 0,1%.
Il traffico e dunque il mercato di sostanze muovono interessi economici stimati in oltre 16 miliardi di euro, di cui circa il 39% riconducibile al consumo dei derivati della cannabis e quasi il 32% all’utilizzo di cocaina. Negli ultimi 3 anni per il mercato della cocaina è stata osservata una crescita medio del commercio di circa 2,5 punti percentuali. Contrariamente alle spese destinate agli altri consumi, non conosce crisi: in questa fase pandemica, il fenomeno delle dipendenze ha infatti subìto dimensioni allarmanti generando un impatto tragico sulla vita di tante persone andando ad acuire ed ampliare le aree di disagio del tessuto sociale.
Al dramma umano del caso, che già di per sé sarebbe argomento sufficiente per un confronto serrato e perenne, quantomeno in ambito politico, si aggiunge tutta la parte che riguarda le mafie e le associazioni a delinquere per le quali, il traffico delle sostanze, resta un El Dorado. Per le consorterie malavitose, infatti, le droghe rappresentano una delle principali fonti guadagno e ricchezza che, indipendentemente dai confini geografici, sono in grado di produrre e fornire in tutti gli angoli del pianeta.
Di droga e disperazione si apprende soprattutto dai media e malgrado il fenomeno riproduca drammi e disumanità a più livelli, il dibattito è latente. Ne è la riprova la lunga attesa di un dibattito ad hoc e che si è tenuto a fine 2021 a Genova durante la ‘Conferenza nazionale sulle droghe, ovvero dopo ben 12 anni dalla precedente. Un intervallo temporale lunghissimo rispetto ad un tema sempre più nefasto e attuale e di cui la politica - forse perché l’argomento come noto non porta voti - unitamente a larga parte dell’opinione pubblica, non discute. Ciò è stato ricondotto, in più di un’occasione, anche al fatto che il c.d. degrado visivo nel corso degli anni si è ridotto e con esso l’attenzione: con la scomparsa ‘fisica’ delle siringhe dalle strade il pubblico pudore è stato sostanzialmente tutelato e poco importa se il consumo, che ricordiamoci non è diminuito, avviene altrove: nell’Epoca dell’apparire, l’occhio vuole la sua parte.
La Conferenza tenutasi in Liguria ha riaperto, finalmente, una breccia in merito e di contenuti. Un confronto, da quanto si apprende dagli addetti ai lavori, proficuo che pur nelle difficoltà e nella diversità di opinione ha comunque smosso le acque stagnanti. Permangono naturalmente differenze di vedute tra ‘progressisti e conservatori’ della materia: tra coloro che lavorano ed auspicano da tempo il superamento delle leggi in materia di repressione e di liberalizzazione delle ‘droghe leggere’ come don Lugi Ciotti o la Rete nazionale del CNCA che chiedono la decriminalizzazione del consumo, la depenalizzazione dei reati più lievi e la revisione dell’intera normativa del 309/90 (ovvero il testo unico sulla droga) che siano incrementate, qualificate e concesse misure alternative al carcere e chi invece, soprattutto a latere e in ambiti politici, avanza perplessità ed esige di non arretrare rispetto alle direttive attuali. Se da un lato la rete dei servizi sulle dipendenze, soprattutto in alcune regioni è salda e strutturata, anche grazie all’impagabile lavoro dei Serd e del Terzo Settore, il corso degli eventi impone alle istituzioni di verificare le attuali norme che regolano il sistema e, nel caso, superarle con altre più efficaci, dinamiche e di rinnovato respiro.
Di fronte a scenari così articolati che interessano ed insistono senza eccezione in maniera trasversale tutti i territori dello stivale, come certificano ad esempio le migliaia di operazioni antidroga con risvolti penali condotte dalle Forze dell’Ordine (oltre 22 mila nel solo 2020) restano obbligatorie alcune parole d’ordine: dialogo, confronto, aiuto, comprensione e soprattutto la responsabilità di non liquidare per mezzo di opportunismi di comodo questa piaga di dimensioni enormi.
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